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L'olivo e il suo olio

cenni storici

La pianta di olivo (Olea europea, subsp. sativa) è oggi diffusa soprattutto nei Paesi del bacino del Mediterraneo, con particolare concentrazione in Spagna e Italia ad occidente, in Grecia, Turchia e Siria ad oriente, in Tunisia e Marocco nella parte meridionale.
Solo negli ultimi anni l'interesse per l'olivo ed il suo olio si è sviluppato anche in zone non tradizionalmente olivicole, dove le condizioni climatiche rendono possibile la coltivazione della pianta. Si assiste così ad una diffusione della coltura dell'olivo in Paesi dalle potenzialità finora inespresse, che stanno diventando produttori di olive e di olio, come gli Stati Uniti (California), l'Argentina, l'Australia, il Sud Africa, la Nuova Zelanda e il Cile.
L'attuale situazione, che vede concentrata nei Paesi mediterranei la quasi totalità della produzione olivicola mondiale, è il risultato di una lenta ma continua trasformazione conseguente all'affermarsi delle diverse civiltà che sono nate e si sono sviluppate nei territori bagnati dal Mar Mediterraneo ed in quelli del Medio Oriente. In questi areali la coltivazione dell'olivo si è sviluppata e diffusa dando luogo ad un florido commercio dell'olio, apprezzato e ricercato non solo come alimento ma anche per le sue proprietà medicamentose e cosmetiche.
Reperti fossili, risalenti al periodo terziario (1 milione di anni fà), dimostrano l'esistenza, in Italia, di un progenitore dell'olivo in tale epoca e ritrovamenti di noccioli di olive in insediamenti umani del paleolitico (35.000-8.000 a.C.) confermano la presenza nell'Europa meridionale di una pianta simile all'olivo. Sembra accertato tuttavia che l'olivo, come oggi è conosciuto, abbia avuto origine circa 5.000 anni fà (3.000 a.C. circa) nei territori corrispondenti all'antica Persia ed alla Mesopotamia.Da questi paesi, la pianta si diffuse, successivamente, nei territori vicini corrispondenti alla Siria ed alla Palestina.
Secondo altre fonti, i reperti di mortai e presse in pietra, utilizzati per estrarre l'olio dalle olive e custoditi nel Museo dell'Olivo di Haifa (Israele), risalgono al 5.000 a.C. Per quanto riguarda la Sardegna, l'introduzione della coltura dell'olivo è ascrivibile al periodo compreso fra l'VIII e il VII secolo a.C. ad opera, probabilmente, di popolazioni di origine minoica attraverso l'ingentilimento di olivastri locali con potature ripetute ed innesti.

In epoca romana si assiste ad un rilevante sviluppo economico dell'olivicoltura; a questo periodo infatti si fa risalire la costituzione di alcune importanti aree olivetate della Sardegna centromeridionale nelle quali si riscontrano ancora specifici toponimi (Oleanam = Oliena, Partem olea = Parteolla). A questo periodo risale l'utilizzo dei primi torchi per l'estrazione dell'olio, mantenuti con la medesima concezione costruttiva sino alla fine del secolo XIX in cui furono soppiantati dalle presse di ferro.
Con la caduta dell'Impero Romano si assiste a un generale declino delle attività agricole e quindi anche della coltivazione dell'olivo. Venne, pertanto, abbandonata per tutte le epoche successive, sino al periodo in cui la Sardegna subì l'influenza politico-militare della repubblica di Pisa, durante i secoli XII e XIII. Di questo periodo rimangono vestigia di vecchi oliveti in tutte le aree in cui è stata storicamente documentata la dominazione pisana (Marmilla e Trexenta, Sulcis-Iglesiente).
Successivamente l'olivicoltura non ebbe grande sviluppo; solo con la prima metà del XVII secolo le norme legislative spagnole consentirono una certa espansione della coltivazione negli areali in cui, anche oggi, è principalmente diffusa l'olivicoltura sarda. In questo periodo si osserva l'emanazione di un decreto dell'allora Viceré e l'arrivo di innesti dalla Spagna, che addestrarono i locali all'innesto degli olivastri spontanei e diffusero le pratiche di governo della coltura. A ciò venne affiancato l'obbligo ai feudatari di costruire molini per estrarre l'olio e l'emanazione di specifiche normative sul possesso degli oliveti e sulla loro salvaguardia dagli incendi, con severissime pene ai contravventori.
Da tale epoca si hanno notizie storicamente certe sullo sviluppo dell'olivicoltura sarda, sebbene questa fosse legata a periodiche tendenze alla mera sopravvivenza per incuria dei proprietari e per la tendenza di questi ad accontentarsi di quel poco prodotto che spontaneamente le piante danno.

 

Dopo la sostituzione dei governanti spagnoli con quelli piemontesi, e a seconda degli indirizzi agricoli delle autorità locali, si sono avute periodiche campagne di sensibilizzazione destinate a risvegliare l'attenzione degli agricoltori verso l'olivo e a migliorarne le tecniche produttive,estendendo le superfici coltivate e cercando di migliorare la qualità della produzione. In tutti i riferimenti storici e bibliografici dal '700 in poi viene segnalato una buona produzione di olio ottenibile dagli oliveti della Sardegna.
Per tutto il XIX secolo e per la prima metà del XX le statistiche riportano infatti una buona produzione d'olio ma di livello qualitativo non sempre accettabile. Nei primi decenni del 1800 vennero introdotti nell'isola i primi impianti per l'estrazione industriale dell'olio dalle sanse, dapprima a Sassari e poi in altri centri quali Bauladu, Bosa e Alghero.
A partire dal secondo dopoguerra si iniziano ad introdurre nuove tecniche di coltivazione e qualche innovazione negli impianti estrattivi.
Superata la fase critica degli anni '60 e '70 l'olivicoltura della Sardegna ha evidenziato una nuova fase di sviluppo con rinnovata attenzione alla parte agronomica e a quella tecnologica proiettata verso la produzione di oli di elevato pregio.


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